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Il terzo aspetto della consapevolezza
PERCORSO DI MEDITAZIONE
PARTE #7

"Vita senza confini"
Il terzo aspetto della consapevolezza
Foto di Alexander Grey su Unsplash

Grazie alla pratica della consapevolezza sviluppiamo in noi la capacità di essere testimoni, di vedere con chiarezza cosa accade in noi e intorno a noi, sempre più al di fuori di ogni commento e giudizio. Riuscendo a osservare ogni cosa senza farci portare via da ciò che proviamo, possiamo allargare la nostra visione e sviluppare una consapevolezza panoramica, che ci permette di vedere il quadro complessivo di una certa situazione, in ogni suo dettaglio, senza esserne catturati. A quel punto possiamo vedere con chiarezza quali sono le opzioni a nostra disposizione. Nasce così in noi la libertà di fare delle scelte, di scegliere un modo diverso di far fronte a quella situazione, senza cadere nell’abitudine di reagire impulsivamente e automaticamente a ciò che ci accade.

Tutti noi siamo infatti in qualche modo bloccati in un sistema di impulso-reazione: succede qualcosa e da lì parte una reazione a catena, automatica, fino all’esito finale. L’unica via d’uscita è essere in uno spazio mentale di presenza, nel quale riusciamo a osservare ciò che sta accadendo e notare il nascere di quell’iniziale irrigidimento, quel restringersi della mente nel sistema chiuso impulso-reazione, che se lasciato “incustodito” in breve tempo ci porta a sperimentare disagio. A quel punto possiamo aprirci alla possibilità di espanderci, di essere vasti, aperti, lasciando così che possano emergere da sole le opzioni disponibili, le possibilità di scelta. Ci rendiamo allora conto che davanti a quella situazione possiamo comportarci diversamente dal solito. Il fatto stesso di aver fatto qualcosa in un certo modo per 50 anni senza che mai funzionasse, già di per sé ci dà l’indizio che potrebbe esserci un diverso approccio a quella situazione: non sappiamo ancora se funzionerà, ma almeno ci diamo un’altra possibilità, non c’è nessun rischio, male che vada non funzionerà, come non aveva comunque funzionato prima, ma potrebbe anche funzionare!

Questa è la terza funzione della consapevolezza: l’opportunità, grazie alla capacità di osservare nel suo insieme ciò che ci accade, di trovare nuove opzioni, modi abili di far fronte a una certa situazione. Si tratta di ciò che nel Buddhismo viene detto prajna, quella saggezza che ci permette di scegliere di agire diversamente. Grazie ad essa diventiamo veri e propri esseri umani, altrimenti non facciamo altro che obbedire a un programma, senza alcuna possibilità di scelta, quasi fossimo un computer.

L’aspetto fondamentale è lasciare che la diversa risposta a quella situazione emerga da sé da quello spazio aperto del nostro essere, dalla capacità di vedere ogni cosa allo stesso tempo; altrimenti non facciamo altro che analizzare, interpretare la situazione per mezzo della nostra comprensione analitica, restando così bloccati nelle nostre idee preconcette, nell’auto-narrazione.
Come occidentali siamo abituati a un approccio scientifico, ma la visione profonda non può venire da un processo intellettuale, dall’esaminare la situazione, confrontarla con altre simili e così via, perché ciò che si ottiene in questo modo è semplicemente il risultato di un processo cognitivo, basato sulla mente condizionata. La pratica è invece essere semplicemente insieme a quella situazione nel suo insieme, come fosse un paesaggio che si dispiega davanti a noi, senza farci coinvolgere da alcun pensiero o giudizio in merito a essa: solo a quel punto potrà emergere da sé la saggezza, prajna, la cui etimologia allude proprio a qualcosa che accade prima del processo cognitivo. Possiamo tradurre prajna con “visione profonda intuitiva”, un’intuizione che ha la possibilità di emergere perché siamo lì, presenti, senza fare alcuna analisi o riflessione, siamo nell’intera esperienza, e a quel punto qualcosa emerge, senza sapere da dove arrivi.

Si tratta di un livello completamente diverso di comprensione, è un processo meditativo, in cui non ci perdiamo nel nostro usuale modo analitico di procedere. Dobbiamo allentare quella visione analitica ristretta, che si basa sul fatto di concentrarci al 100% su un certo oggetto escludendo tutto il resto: possiamo metterci in contatto con una mente grande, capace di tenere conto di ogni cosa nello stesso momento.

Ci vuole allenamento, perché siamo abituati a fare continuamente una scansione di ciò che abbiamo intorno. Come abbiamo visto nella parte precedente, dedicata alla consapevolezza aperta, panoramica, ci sono pratiche che possono aiutarci nell’includere ogni cosa, ogni dettaglio di una certa situazione allo stesso tempo; pratiche che ci consentono di essere in contatto anche col cambiamento continuo che avviene, in cui continuamente alcune cose scompaiono e altre appaiono. È una consapevolezza chiara e precisa di ogni dettaglio, che inizia dal raccogliere la mente su un singolo oggetto, ad esempio il respiro, e poi gradualmente aprirla, portandola in un’esperienza di vastità, flessibilità, assenza di confini. Quando siamo presenti, in contatto con ogni cosa, potremo forse sentire emergere spontaneamente in noi una grande gioia.

Abbiamo vissuto tutti situazioni difficili con i colleghi o con la famiglia, situazioni di tensione, che generano in noi un turbinio di pensieri, emozioni; davanti alle quali continuiamo a ripeterci mentalmente e ossessivamente quanto è successo, cosa abbiamo detto o ascoltato, cosa abbiamo fatto o subito, nella speranza di trovare una soluzione, di aggiustare quella situazione. Ma quello che è successo è successo, e ci sentiamo sempre più confusi e privi di energia. Poi magari, la mattina successiva, dopo un buon sonno, ci svegliamo freschi e riposati, e riusciamo a guardare quella situazione in un modo diverso, tutto quel turbinio si è placato e ci troviamo a dirci: “Mah, forse avrei potuto fare così”, oppure ad avere un’intuizione profonda e pensare: “Oh, mannaggia, quella persona è davvero in una situazione penosa!” e in un certo qual senso provare empatia per la stessa persona con cui il giorno prima eravamo furiosi… Vediamo le cose in modo diverso non perché la situazione è diversa ma perché è la nostra mente che è cambiata.

Eppure tendiamo ancora a credere che sia la vita ad agire su di noi, mentre siamo noi che agiamo sulla vita: è una realizzazione molto profonda che abbiamo bisogno di ricordare continuamente: l’esperienza che abbiamo con la vita non è tale perché la vita è così, ma perché è in un certo modo la nostra relazione con la vita, il nostro modo di vedere le situazioni, la nostra modalità di percepire la vita e di giudicare. Se così non fosse, non ci sarebbe motivo di praticare o di andare a un ritiro, la sofferenza sarebbe inevitabile e non si potrebbe sfuggirle: ci sono malattie, terremoti, persone che decidono delle nostre vite schiacciando un bottone e noi siamo solo vittime. Possiamo invece guardare a tutto ciò in modo diverso, questa è la nostra pratica ed è per questo che seguiamo un sentiero spirituale.

Per riuscirci dobbiamo solo innalzare almeno un po’ il nostro stato mentale, nelle situazioni difficili essere in grado di fare un passo indietro, anche piccolo, tornare alla nostra pratica e da lì allargare la visione e iniziare a vedere le cose diversamente, in una prospettiva più ampia. In questo ci è d’aiuto praticare in ogni momento della vita quotidiana, non in modo intensivo, stando seduti ore ed ore, ma facendo costantemente quel passo indietro e osservando le cose nel loro insieme, senza farci catturare dalla nostra mente condizionata. Ci sono tante situazioni nella vita quotidiana in cui possiamo farlo, situazioni in cui siamo fuori dalla modalità di sopravvivenza: mentre mangiamo, camminiamo, mentre siamo in autobus o metro, e così via. Questa consapevolezza, questa mente, in grado di fare un passo indietro, è l’unico modo per non essere trascinati in qualunque difficoltà ci capiti, e ci dà l’opportunità di avere una visione più ampia, di cambiare il nostro punto di vista e trasformare completamente la nostra vita.

 

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