Il secondo aspetto della consapevolezza
Grazie alla pratica del primo aspetto della consapevolezza possiamo sviluppare la capacità di raccogliere la mente su un oggetto (ad esempio il respiro, ma non solo) senza immediatamente commentare, giudicare, classificare, al di fuori della modalità di sopravvivenza che verifica se ogni cosa con cui entriamo in contatto è buona o potenzialmente pericolosa per noi.
A quel punto, non essendo catturati in modo automatico da ciò con cui entriamo in contatto, si crea in noi lo spazio per prendere una distanza. Non è qualcosa per cui doversi sforzare, è qualcosa di naturale, semplicemente non restringiamo immediatamente l’attenzione su qualcosa e abbiano allora la possibilità di fare un passo indietro. Il Buddha ha paragonato questo aspetto della consapevolezza all’arrampicarsi su una torre, a salire su una piattaforma, dalla quale possiamo vedere tutto ciò che ci circonda. Non si tratta però di guardare qualcosa freddamente, si tratta solo di una facoltà naturale e profonda della coscienza.
Praticando in questo modo possiamo progressivamente allargare la nostra capacità di conoscenza a partire da una zona piccola e controllata a una zona più ampia. È un movimento molto importante che possiamo fare durante la vita quotidiana, passando da una sorta di messa a fuoco, in cui ci concentriamo su un dettaglio e vogliamo sapere esattamente di che si tratta e cosa farne, al fare un passo indietro e vedere il quadro complessivo, come in una sorta di grandangolare. Possiamo così sviluppare una mente dinamica che, come uno zoom fotografico, se necessario è capace di restringersi come un teleobiettivo a vedere ogni singolo dettaglio e, allo stesso tempo, allargarsi come un grandangolare per osservare il quadro d’insieme, senza per questo perdere il proprio centro e senza iniziare a scandagliare il quadro più ampio a cui ci siamo collegati. Se ci perdiamo, possiamo tornare a stringere un po’ l’attenzione, per poi tornare a riallargarla.
Questo modo di essere in contatto con noi stessi e con ciò che abbiamo intorno viene in genere chiamato “consapevolezza panoramica” o “consapevolezza aperta”. È una pratica a volte un po’ difficile per noi occidentali, che siamo culturalmente allenati a concentrarci, osservando ogni cosa molto chiaramente e da vicino. In mancanza di una consapevolezza più ampia perdiamo però di vista tutto ciò che circonda l’oggetto su cui ci siamo concentrati, e questo spesso genera in noi insicurezza e tensione. Non siamo abituati a essere, ad esempio, in contatto allo stesso tempo con ogni cosa in una sorta di consapevolezza “periferica”, e allora immediatamente iniziamo a scansionare le cose, passando da una cosa all’altra, nel timore di perderci qualcosa o che qualcosa possa costituire per noi un pericolo. Quando invece ci riusciamo, possiamo muoverci nell’arco della giornata con leggerezza, calma e sicurezza.
Ci alleniamo in questa consapevolezza aperta a partire dalla sala di meditazione, anche se in realtà è più facile allenarci nelle situazioni di tutti i giorni, facendo l’esperienza di poter osservare ogni cosa intorno a noi (o dentro di noi) senza esserne catturati: facciamo un passo indietro, ci “solleviamo” rispetto alla situazione in cui siamo immersi e abbiamo una visione completa, con tutti i dettagli. È come essere seduti in cima a una collina e guardarsi attorno: c’è un’esperienza di vastità in cui possiamo vedere ogni cosa senza esserne catturati. Possiamo allargare la mente, senza osservare nulla in particolare, semplicemente consapevoli di vedere: a quel punto tutto può dispiegarsi davanti a noi, limitandosi, per così dire, a “presentarsi”, di qualunque cosa si tratti. Possiamo limitarci a lasciar entrare ogni cosa nel campo della nostra coscienza e in questo modo, spesso, proviamo una sensazione di appagamento.
Quando invece non lasciamo entrare le cose, le giudichiamo, facciamo confronti, ad esempio: “Questo è brutto, quest’altro è bello… Ma, quelli cosa stanno facendo?…”. Essere consapevoli è la pratica di fare un passo fuori da tutto ciò, un modo di essere in un caldo contatto con la vita, senza per questo portare in quel contatto le nostre idee, convinzioni, aspettative e così via. E quando veniamo distratti, catturati da ciò che vediamo, possiamo semplicemente riportare indietro la mente.
Thich Nhat Hanh definisce questo modo di essere presenti con l’espressione: “Stabilirsi completamente nel momento presente”. Ciò che occorre, è comprendere chiaramente, attraverso la pratica, che ci permette di fare amicizia con la mente, cosa fa la mente condizionata e come entrare in contatto con una mente non condizionata. Questo richiede la consapevolezza dell’osservatore: “So che sto vedendo questo”, questa qualità di conoscenza è l’essenza della nostra coscienza.
I dipinti antichi, di epoca medievale, quando ancora non era stata scoperta la prospettiva, si basavano essenzialmente sulla tecnica del ritratto, in cui ci si concentra solo su un soggetto che viene percepito come la cosa più importante. La modalità della consapevolezza panoramica – in cui siamo presenti all’oggetto e anche allo sfondo – può essere invece trovata, ad esempio, in quei dipinti cinesi chiamati “dipinti a scorrimento”, dove niente è in primo piano o sullo sfondo: si vede l’intero paesaggio, ogni montagna e ogni essere umano, ogni cosa nelle giuste proporzioni.