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Sei passi per prendersi cura delle emozioni non salutari

"Per assaporare la felicità non è necessario essere privi di sofferenza. Di fatto, l’arte della felicità è anche l’arte di soffrire bene. Quando impariamo a riconoscere, abbracciare e capire la nostra sofferenza, soffriamo molto meno. Non solo, siamo anche in grado di andare oltre e di trasformare la sofferenza in comprensione, compassione e gioia, per noi stessi e per gli altri. (Thich Nhat Hanh, "Trasformare la sofferenza")

Tutti proviamo emozioni non salutari, che diventano più forti quando non sappiamo come prendercene cura. Praticando giorno dopo giorno la consapevolezza del respiro, del corpo, delle sensazioni, l’energia della consapevolezza in noi si rafforzerà sempre più e sapremo allora come prenderci cura delle nostre emozioni. La pratica che Thich Nhat Hanh ci suggerisce può essere sviluppata in un percorso di sei passi:

1) RICONOSCERE

La chiave per prenderci cura di ciò che emerge in noi è sempre iniziare proprio lì dove siamo: riconoscere ciò che è presente in noi. Non cerchiamo ancora di capire esattamente di cosa si tratta, ma semplicemente riconosciamo che sta succedendo qualcosa.
Thich Nhat Hanh usa spesso la metafora di una mamma che sente che il suo bambino sta piangendo e ancora non sa quale sia la causa di quel pianto. In modo analogo, ci rendiamo conto che in noi si stanno manifestando delle sensazioni spiacevoli ma non sappiamo ancora esattamente di cosa si tratti.
Grazie all’energia della consapevolezza possiamo forse anche riconoscere che subito emerge in noi la tendenza a cercare di liberarcene o a evitare quelle sensazioni spiacevoli, magari distraendoci nei tanti modi che sono a nostra disposizione. Possiamo allora esprimere in noi l’intenzione di stare insieme a ciò che sentiamo: “Sì, questo è ciò che è presente, ora”. Quando rinunciamo a lottare per evitare la nostra esperienza, qualcosa in noi inizia subito a rilassarsi.
Se ad esempio emerge qualcosa che assomiglia a un senso di rabbia (chissà, magari è altro, o non solo rabbia, chi può dirlo ancora?), anziché dirci subito: “Ecco, sono arrabbiato” possiamo dire: “In questo momento in me c’è un’emozione che assomiglia alla rabbia”, aiutandoci così fin dall’inizio a riconoscere che non siamo limitati da quell’emozione. Tanto più che in quel momento in noi è presente anche l’energia della consapevolezza!
In questo modo possiamo fare un passo indietro da quanto sta emergendo, creando una piccola distanza che ci permette di non identificarci con ciò che si sta manifestando e, quindi, di non reagire immediatamente.

2) ABBRACCIARE, ACCOGLIERE

Possiamo allora far spazio alle sensazioni spiacevoli che proviamo e accoglierle con amore. Nella metafora della mamma e del bambino che piange, la mamma non sa ancora cos’ha il bambino ma non entra subito in azione, magari dandogli da mangiare mentre invece ha la febbre: anzitutto lo abbraccia e lo culla, per darsi il tempo di comprendere come mai piange.
Allo stesso modo, possiamo accogliere le sensazioni che si stanno manifestando in noi, sorridendo loro con amore: “So che ci sei, e mi prenderò buona cura di te”.
Questo non significa che volevamo che accadesse ciò che sta accadendo, che lo assecondiamo, semplicemente riconosciamo che è presente, disponibili ad aprirci e ad ascoltare, qualunque cosa sia, senza resistergli o cercare di evitarlo, e senza crogiolarci o assecondarlo con pensieri o ragionamenti.

3) CALMARE

L’accoglienza di quell’abbraccio porta sollievo a ciò che è emerso in noi, che inizia già a calmarsi. Quella di una madre è un’accoglienza incondizionata, priva di ogni commento o giudizio, è puro amore.
Lo spazio di consapevolezza e accoglienza che abbiamo generato intorno a quelle sensazioni lascia che siano presenti, così come sono, senza tensioni o resistenze, lascia che si riposino in quello spazio. Siamo ora una consapevolezza più grande che avvolge con delicatezza quelle sensazioni spiacevoli.
Possiamo praticare la consapevolezza del respiro o, se l’energia dell’emozione è forte, possiamo fare una meditazione camminata, come se cantassimo una ninna-nanna a quell’emozione. In questo modo l’energia della consapevolezza penetra in quella dell’emozione proprio come l’energia della madre entra in quella del bambino. Grazie alla pratica del respiro consapevole, del sorriso e della meditazione camminata tutto comincia a trasformarsi: “Inspirando calmo questa emozione in me; espirando, me ne prendo cura”.

4) GUARDARE IN PROFONDITÀ

Quando in noi si manifesta una forte emozione, smettiamo di fare qualunque cosa e ce ne prendiamo cura: non c’è nulla di più urgente di questo. Abbracciamo quell’emozione con tenerezza e a lungo, lasciandole la possibilità di parlarci, di dirci cos’è che non va. Non si tratta di cominciare a pensare quale possa esserne la causa, ma di restare insieme a ciò che si è manifestato in modo ricettivo, creando uno spazio dove qualcosa possa emergere in modo spontaneo. Altrettanto spontaneamente di quando una parola o un nome che non riuscivamo a ricordare emerge da sé nella nostra coscienza quando smettiamo di pensarci.
Siamo in contatto con le sensazioni che si manifestano nel corpo insieme a quell’emozione, siamo in ascolto delle parole e delle frasi che emergono nella coscienza, delle storie che iniziamo a raccontarci, delle convinzioni su noi stessi che emergono da quelle storie.

5) COMPRENDERE

In questo modo possiamo comprendere in modo intuitivo da dove nasce quell’emozione. Proprio come una madre tiene in braccio il suo bambino fino a scoprire la causa del suo disagio e, una volta compresa la causa, se il bambino ha la febbre gli darà qualcosa per abbassarla, se ha fame, gli darà da mangiare.
Ad esempio, quando ci arrabbiamo tendiamo a credere che la causa di quella rabbia sia un’altra persona o una situazione. Osservando in profondità possiamo far emergere in noi la prima intuizione profonda: possiamo renderci conto che la ragione principale della nostra sofferenza non è fuori di noi ma nei semi della rabbia presenti in noi. Altri, davanti alla stessa situazione, non si sarebbero arrabbiati com’è successo a noi. A quel punto l’importante è non cominciare a dare addosso a noi stessi anziché all’altro!
Ognuno di noi ha il seme della rabbia nel profondo della propria coscienza, in alcuni è più grande e attivo, come conseguenza delle infinite cause e condizioni che ci hanno portati a essere ciò che siamo al momento. La buona notizia è che ora abbiamo l’opportunità di praticare per trasformare quel seme in noi!
La seconda e fondamentale intuizione profonda è riconoscere con chiarezza che anche la persona che pensavamo essere causa della nostra sofferenza soffre, che ogni essere umano soffre. Riconosciamo che quella sofferenza ci è stata tramandata da tutte le generazioni passate, che in ogni momento ognuno di noi è il risultato di infinite cause e condizioni che lo hanno portato a essere ciò che è momento dopo momento, e che solo la consapevolezza può aiutarci ad agire liberi questo condizionamento.
In questo modo, guardiamo in profondità in noi stessi e in ciò che ci circonda in due piani, da due prospettive, che si intrecciano:

  • Sul piano della dimensione relativa possiamo riconoscere i diversi elementi del nostro condizionamento mentale, le convinzioni, le aspettative e così via.
  • Sul piano della dimensione assoluta, possiamo riconoscere come non siamo altro che un punto in un flusso di vita, che viene dal passato e si estende nel presente, per poi proiettarsi nel futuro.
6) TRASFORMARE

Grazie a queste intuizioni profonde, possiamo allargare il nostro sguardo e trasformare il nostro modo di vedere le cose. Smettiamo anzitutto di condannare l’altro in quanto causa principale di tutti i nostri guai, perché ci rendiamo conto che l’altro non ne è che una causa secondaria.
Ciò non toglie che su un certo piano (dimensione relativa) ciò che è accaduto è accaduto e, se ci sono cose da sistemare in modo che non accada ancora, vanno assolutamente sistemate. Ma allo stesso tempo, su un altro piano (dimensione assoluta), vediamo noi stessi e l’altro in un quadro più ampio: riconosciamo che entrambi condividiamo un senso di umanità fragile e vulnerabile, che tutti condividiamo mancanze e debolezze. Riconosciamo che quando non sappiamo come trattare la nostra sofferenza, questa si diffonde tutt’intorno a noi.
A quel punto, mentre all’inizio magari pensavamo che quella persona meritasse una punizione, ora comprendiamo che anche lei soffre e ha bisogno di aiuto.

La pratica della presenza mentale e del prenderci cura delle nostre emozioni ci regala il frutto dell’intuizione profonda, che ci consente di avere uno sguardo più ampio su noi stessi e sul mondo e, grazie a questo, di agire a partire da una diversa prospettiva.
Possiamo iniziare a sperimentare questi passi fin da subito, sostenuti dalla consapevolezza, sperimentandoli in modo graduale, iniziando da situazioni ed emozioni che non ci mettono troppo in difficoltà.
Nella fiducia che praticando giorno dopo giorno la consapevolezza del respiro, del corpo, delle sensazioni, l’energia della consapevolezza si rafforzerà sempre più in noi e sapremo sempre meglio come prenderci cura della nostra sofferenza.

Foto di Yusuf Evli su Unsplash

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