Per comprendere il ruolo della presenza[1] è importante comprendere come funzionano in genere l’attenzione e la consapevolezza aperta, periferica. Sono due funzioni che collaborano tra loro, anche se ognuna svolge un ruolo particolare e ci fornisce un certo tipo d’informazione.
L’attenzione sceglie un oggetto nel campo generico della consapevolezza conscia, per poi analizzarlo e interpretarlo, permettendoci di discernere tra informazioni differenti (per esempio, quello che vediamo per terra è un pezzo di corda o un serpente?). Di solito l’attenzione traduce la nostra esperienza grezza del mondo in termini che possiamo comprendere più facilmente, e che poi organizziamo in un quadro della realtà.
La consapevolezza periferica, invece di scegliere un singolo oggetto da analizzare, fornisce una consapevolezza generale di qualsiasi cosa rientri nell’ambito dei nostri sensi. È solo in minima parte concettuale, è aperta e inclusiva, non si preoccupa degli oggetti in sé ma delle relazioni degli oggetti tra loro e con il tutto. Ci fornisce le informazioni riguardo allo sfondo e al contesto della nostra esperienza: dove siamo, che cosa succede intorno a noi, che cosa stiamo facendo e perché (per esempio, ci consente di determinare che si tratta di un pezzo di corda e non di un serpente, poiché siamo in Alaska ed è pieno inverno). L’attenzione analizza dunque l’esperienza, mentre la consapevolezza periferica fornisce il contesto. Dato che la consapevolezza periferica non elabora l’informazione con la stessa cura dell’attenzione, può agire molto più in fretta, permettendoci ad esempio di scansare istintivamente un’automobile che sta per venirci addosso.
Ogni sensazione, pensiero o emozione fa la sua prima comparsa nella consapevolezza periferica, che filtra tutte le informazioni non pertinenti e decide se qualcosa è meritevole di diventare un oggetto dell’attenzione. Allo stesso tempo, l’attenzione opera anche una veloce scansione degli oggetti nel contesto della consapevolezza periferica, alla ricerca di qualcosa di rilevante o importante, o semplicemente piacevole, da esaminare.
Inoltre, il modo in cui ci serviamo dell’attenzione «addestra» la consapevolezza periferica a selezionare determinati oggetti. Per esempio, se siamo appassionati di uccelli, la consapevolezza periferica impara a prendere nota di tutto ciò che vola ed è piumato!
Un altro modo in cui attenzione e consapevolezza operano congiuntamente consiste nell’aiutarci a percepire le cose con maggiore obiettività. Di base, l’attenzione implica in generale una forte preoccupazione per il «sé». Ciò è perfettamente logico, se consideriamo che buona parte del lavoro dell’attenzione consiste nel valutare l’importanza dei fenomeni in rapporto al nostro benessere personale. Ma ciò significa anche che l’oggetto dell’attenzione può essere facilmente distorto dal desiderio, dalla paura, dall’avversione e da altre emozioni. La consapevolezza periferica è meno «personale» e percepisce le cose più obiettivamente, «così come sono». Oggetti esterni, sensazioni e attività mentali appaiono nella consapevolezza periferica come parte di un quadro generale, e non siamo portati a identificarci con essi. Per esempio, possiamo essere perifericamente consapevoli che sta emergendo un fastidio. Ciò è ben diverso dal formulare il pensiero: «Sono infastidito». Una forte consapevolezza periferica contribuisce a smorzare la tendenza egocentrica dell’attenzione, rendendo la percezione più obiettiva.
Nella vita quotidiana è quindi fondamentale che ci siano una buona interazione e un buon equilibrio tra attenzione e consapevolezza, in modo da far fronte alle situazioni della vita con efficacia. Se, come spesso ci accade, prende il sopravvento l’attenzione potremmo, per esempio, reagire in maniera eccessiva, prendere decisioni inadeguate o fraintendere quanto sta succedendo.
Durante la meditazione, quando le distrazioni sono ridotte al minimo, possiamo imparare a servirci della consapevolezza periferica con più efficacia, e acquisire la capacità di usufruire contemporaneamente dell’attenzione e della consapevolezza. Progredendo nella meditazione, attenzione e consapevolezza finiscono per unirsi, così da rappresentare un sistema pienamente integrato.
In conclusione, tutto quello che pensiamo, sentiamo, diciamo e facciamo da un momento all’altro, nonché ciò che siamo e come ci comportiamo, alla fine dipende dall’interazione tra attenzione e consapevolezza. La presenza rappresenta l’interazione ottimale tra queste due funzioni, quindi coltivare la presenza può trasformare il nostro modo di pensare, sentire, parlare e agire, e cambiare le cose in meglio. Può letteralmente trasformare chi siamo.
(Per approfondire: Culadasa, La mente illuminata, Mondadori 2019)
[1] In questa sintesi abbiamo scelto di tradurre con “presenza” l’inglese “mindfulness”, con “consapevolezza” l’inglese “awareness” e naturalmente con “attenzione” l’inglese “attention”. Preferiamo parlare semplicemente di “presenza” piuttosto che “presenza mentale” in quanto sentiamo che si tratta di una funzione che include l’intero nostro sistema mente-corpo.