“Tratta le persone come vogliono essere trattate
e le aiuti a diventare quello che sono capaci di essere”
(Johann Wolfgang von Goethe)
Riflessioni sulla dignità di Donna Hicks
Durante il mio lavoro di facilitatrice specializzata nella risoluzione dei conflitti in alcuni dei conflitti locali più intrattabili, sono arrivata a interpretare le esperienze traumatiche ed emotive della guerra come attacchi alla dignità delle persone. Sentivo che in quei tentativi di dialogo c’era sempre un non detto, un dialogo profondamente emotivo che avveniva sotto al tavolo, con pensieri del tipo: “Come avete osato trattarci in questo modo inumano? Non vedete che siamo anche noi esseri umani?!”. Chiedendo allora di parlare del modo in cui la dignità di ognuno era stata violata, ognuno ha iniziato a raccontare cose che non avrebbe raccontato se avessi solo chiesto di condividere le proprie emozioni su quanto accaduto.
Ma quello che ho presto scoperto è che il senso di indegnità che le persone provavano non era limitato al contesto dei grandi conflitti tra etnie o religioni o altro, non era solo quello descritto nella Dichiarazione Universale e nelle altre convenzioni dell’ONU. Altre forme di violazione della dignità non sono menzionate in quei profondi documenti. E che dire dei modi psicologici in cui le persone subiscono ferite alla propria dignità? Che dire dell’essere esclusi, fraintesi, trattati ingiustamente, allontanati o giudicati inferiori sulla base di un aspetto della loro identità su cui non possono fare nulla?
La dignità è uno stato interno di pace che deriva
dal riconoscere e accogliere il valore
e la vulnerabilità di tutti gli esseri viventi.
Il modello della dignità
Il modello della dignità è un approccio che ho sviluppato per aiutare le persone a capire il ruolo che la dignità gioca nella loro vita e nelle loro relazioni. È la mia risposta a quello che ho osservato essere un anello mancante nella nostra comprensione dei conflitti: non riuscire a riconoscere quanto gli esseri umani siano vulnerabili ad essere trattati come se non avessero importanza. Spiega perché fa male quando la nostra dignità viene violata, e ci dà la conoscenza, la consapevolezza e le capacità per evitare di danneggiare inconsapevolmente gli altri. Mostra come ricostruire un rapporto che si è spezzato sotto il peso del conflitto e suggerisce cosa fare per riconciliarsi. Il modello è la mia risposta all’elefante che è sempre presente nella stanza quando le relazioni si rompono. Dà un nome all’elefante: “trasgressione della dignità”. Il modello insegna ad apprezzare ciò con cui tutti noi abbiamo a che fare come esseri umani nella nostra ricerca della dignità. Impariamo come onorarla nelle interazioni quotidiane con i nostri cari e con gli estranei, come mantenere la nostra dignità combattendo le forze interne che ci spingono ad agire male, e come risolvere i conflitti e riconciliarci con le persone riconoscendone il valore intrinseco.
Alla fine, il messaggio del modello è abbastanza semplice: dimostrare la cura e l’attenzione per se stessi e per gli altri che qualsiasi cosa di valore merita. Questo è il primo e unico imperativo. Non perdiamo l’occasione di esercitare il potere che abbiamo di ricordare agli altri chi sono: preziosi, inestimabili e insostituibili. Ricordiamolo anche a noi stessi.
La differenza tra dignità e rispetto
La dignità è diversa dal rispetto. La dignità è un diritto di nascita. Non abbiamo difficoltà a vederlo quando nasce un bambino; non ci sono dubbi sul valore e sul significato dei bambini.
Secondo Evelin Lindner, questa nozione di dignità – che tutti gli esseri umani sono impregnati di valore e di significato – è emersa in Europa in reazione alla credenza cristiana medievale secondo cui la vita era piena di sofferenza e che gli esseri umani erano destinati a sopportare la sofferenza in questa vita. La consolazione offerta dalla chiesa era che la situazione sarebbe migliorata nell’aldilà. Ma con l’avvento del Rinascimento in Italia, nel XIV secolo, la nozione stessa di ciò che significava essere umano si è aperta alla discussione. Filosofi e umanisti hanno iniziato a mettere in discussione le credenze tradizionali, avviando una lunga discussione filosofica e sociale incentrata sul valore intrinseco e sulla dignità di tutti gli esseri umani.
Un filosofo illuminista che si occupò della questione della dignità umana fu Immanuel Kant, che, scrivendo nel XVIII secolo, introdusse l’idea dell’”imperativo categorico” – un modo per determinare ciò che è moralmente giusto, indipendentemente dalle circostanze. Uno dei principi guida dell’azione giusta, diceva Kant, è quello di “agire in modo da trattare sempre l’umanità, sia nella propria persona che nella persona di qualsiasi altro, mai semplicemente come un mezzo, ma sempre allo stesso tempo come un fine”.
Per esempio, Kant considerava il suicidio moralmente sbagliato perché violava l’imperativo di trattare non solo gli altri ma anche noi stessi come esseri con un valore e un significato intrinseco.
Secondo Kant, riconoscere la dignità di tutti gli esseri umani significa che non è etico sfruttare le persone o trattarle solo come strumenti per promuovere i propri obiettivi e interessi personali.
Onorare la dignità degli altri non ha nulla a che vedere con le loro qualità o realizzazioni uniche. Anche se sono d’accordo sul fatto che tutti gli esseri umani meritano che la propria umanità sia rispettata, gli esseri umani spesso si comportano in modi che sono dannosi per gli altri, rendendo difficile rispettarli per ciò che hanno fatto. Faccio sempre la distinzione tra la persona, che merita rispetto, e le azioni della persona, che possono o meno meritare rispetto.
Affermare che tutti automaticamente meritano di essere trattati con rispetto è complicato dalla distinzione che ho appena sottolineato, ma affermare che tutti meritano di essere trattati con dignità non è affatto complicato. Ce lo meritiamo tutti, qualunque cosa facciamo. Trattare male le persone perché hanno fatto qualcosa di sbagliato non fa che perpetuare il ciclo dell’indegnità. Quel che è peggio, nel processo violiamo la nostra stessa dignità. Il cattivo comportamento degli altri non ci dà la licenza di trattarli male in cambio. Il loro valore e il loro significato intrinseco devono essere onorati a prescindere da ciò che fanno.
(estratto e tradotto da Donna Hicks, “Dignity”, Yale University Press 2021)